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novembre 1917: “ci addormentiamo italiani e ci svegliamo austriaci”. Così
scrive un frate francescano del convento di Motta di Livenza il giorno in cui
gli austriaci arrivarono in paese. Lo stesso giorno erano state occupate anche
Belluno, Vittorio e Conegliano.
All’alba
del 24 ottobre un’armata austro-tedesca aveva attaccato le posizioni italiane
tra Plezzo e Tolmino: i reparti scelti rompono il fronte a Caporetto, nel
settore controllato dal XXVII Corpo
d’Armata al comando dell’allora Tenente Generale Pietro Badoglio. E’ il caos.
In pochi giorni una fiumana di sbandati che gli alti comandi non sono più in
grado di riorganizzare si ritira verso il Piave. Le cifre: 11000 morti, 29000
feriti, quasi 300000 prigionieri, altrettanti sbandati e oltre 300000 profughi.
L’intero Friuli occupato. Le truppe degli imperi centrali occupano i territori
veneti fino al Piave.
Fonti
austriache rivelarono in seguito che i messaggi in chiaro inviati dal comando
di Badoglio, che indicavano la sua posizione nei reparti, furono
sistematicamente intercettati e comunicati all’artiglieria.
Soldati italiani a Caporetto, in una cartolina dell'epoca.
Nel
trevigiano l’occupazione riguardò i distretti di Oderzo, Conegliano, Vittorio e
Valdobbiadene. Il Genio italiano fa saltare i ponti sul Piave a Ponte della
Priula e da quel momento il Veneto è tagliato in due. Dei 96 comuni della
provincia di Treviso 47 vengono occupati dagli austriaci o dai tedeschi. Tutte
le istituzioni pubbliche e private della provincia sulla parte destra del Piave
si allontanarono dal fronte: le banche si trasferirono in Toscana, in Emilia, a
Roma; il catasto a Parma, la provincia di Treviso a Modena. Il sindaco di
Treviso Bricito e parte della giunta riparano a Pistoia, e in città arriva il
capitano dell’esercito Lorenzo Battistel, già segretario comunale di Susegana,
che assume le funzioni di commissario prefettizio. Il problema principale che
il capitano Battistel si trovò a fronteggiare fu quello dei profughi, che
venivano smistati in tutta Italia nella misura di circa 2000 al giorno. Ai
profughi veri e propri si aggiunsero anche gli sfollati dalla zona
immediatamente a ridosso del fronte, una fascia di almeno cinque chilometri
alla destra del Piave. Le popolazioni venivano raccolte nei comuni di
Monastier, Roncade, San Biagio di Callalta. Le campagne e i casali abbandonati
in fretta e furia vennero fatti oggetto di saccheggi e malversazioni da parte
di singoli militari, ma anche da parte di interi reparti. Il grande afflusso di militari e di sfollati
creò disagi enormi, malumore e risentimento nella popolazione rimasta, sconvolse
la vita quotidiana e le sue abitudini. Scoppiarono
disordini tra civili e soldati, in particolare a Castelfranco e Follina.
A
Treviso e provincia gli uomini validi rimasti vennero adibiti al potenziamento
del campo trincerato, la cui costruzione era stata iniziata da Cadorna dopo la
spedizione punitiva del 1917 e che all’epoca comprendeva un sistema difensivo
della profondità complessiva di circa nove chilometri, che includeva in parte i
comuni limitrofi e si raccordava con le fortificazioni del Montello.
Bunker in cemento armato sul Montello, costruito sfruttando una grotta carsica
dall’artiglieria italiana.
Vista sul Piave dall’interno dello
stesso bunker.
La città di Treviso e i dintorni vennero colpiti da un
intenso bombardamento, sul solo capoluogo caddero 1526 bombe che causarono una
quarantina di morti, oltre a danni gravissimi agli edifici: delle 2200 case
adibite a civile abitazione, dopo la guerra erano agibili solo 400, 100 erano
state completamente rase al suolo e le altre risultavano seriamente
danneggiate. Il personale delle amministrazioni pubbliche aveva, come si è
detto, abbandonato quasi in massa la città, ai pochi impiegati e insegnanti
rimasti in città vengono offerti incentivi economici qualora accettino di
riprendere servizio.
Lettera del commissario prefettizio di
Treviso Lorenzo Battistel.
Le
conseguenze dell’occupazione, sugli equilibri della società rurale e più in
generale sull’economia complessiva, furono disastrose. Per la difesa di
Treviso, i terreni fra il Sile e il Piave erano stati allagati e la mancanza di
idrovore aveva reso inagibili quasi 3500 ettari di campi. La superficie coltivabile
si era drasticamente ridotta; e il ripristino della funzionalità di quelle
terre durò per quasi tutti gli anni venti. Anche i bestiame era stato
falcidiato: dal 1917 al 1918 il numero dei maiali passò da 18000 a 1100, quello dei
bovini da 57000 a
6100, gli ovini da 13200 a
2200, i cavalli da 9000 a
1800. Le campagne erano in una situazione pietosa, sul Montello, a San Biagio
di Callalta e Monastier il Genio militare stimò alla fine del conflitto una
presenza di ordigni inesplosi pari a circa 200 per ettaro. In tali condizioni
la coltivazione della terra diventava estremamente difficile; i lavori di
aratura dei campi della primavera del 1919 poterono essere effettuati solo
grazie all’intervento di gruppi di artiglieria che contribuirono con i loro
trattori. Il governo istituì gruppi di rastrellatori addetti alla bonifica del
territorio composti da civili e militari, i quali portavano una fascia al
braccio per non essere confusi con i cosiddetti recuperanti, civili residenti
che per loro conto cercavano i residuati sul territorio per rivendere il
metallo sul mercato. Spesso scoppiarono incidenti tra i rastrellatori e i
recuperanti. Nel gennaio del 1920, ad esempio, scoppiò a S. Andrea di Barbarana
(oggi frazione del comune di S. Biagio di Callalta) una rissa furibonda tra
queste due categorie di bonificatori, che portò al trasferimento a Maserada del
gruppo di rastrellatori di stanza in paese. Per la difesa di Treviso, i terreni
fra il Sile e il Piave erano stati allagati e la mancanza di idrovore aveva
reso inagibili quasi 3500
ettari di campi. La superficie coltivabile si era
drasticamente ridotta; e il ripristino della funzionalità di quelle terre durò
per quasi tutti gli anni venti.
Le
conseguenze della guerra e di quei lunghi mesi di occupazione furono quindi
drammatiche, il tessuto economico e sociale dei territori coinvolti ne uscì
drasticamente sconvolto e le conseguenze si protrassero ben oltre il termine
del conflitto, facendosi sentire fino al secondo dopoguerra.
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